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Il ritorno del dio che balla
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Le
feste stagionali contadine sono ancora oggi il più evidente
ricordo degli ancestrali culti agro-pastorali da sempre praticati
dalluomo antico, rituali di un tempo in cui la vita era scandita
dal susseguirsi del giorno e della notte, dallapparizione
di un frutto o dallo sbocciare di un fiore, dal lussureggiare di
un ramo o dalla foglia cadente oramai ingiallita, espressioni di
quel ciclo di morte e resurrezione che tutto domina e che si manifesta
alluomo spaurito nel susseguirsi delle stagioni.
E in questo mondo (prima ancora che nelle tradizioni greche
, come troppo spesso si sente dire) che affonda le proprie radici
il Tarantismo, ricordo di antichi rituali legati al nume arboreo
e alla sua mistica morte e resurrezione, quando la crisi umana per
il vuoto vegetazionale incombente esigeva un suo esorcismo.
Allinizio è il bosco con i suoi frutti a dare sostentamento
allAntico che, proprio per questo, vede in esso, e in tutto
quello che vi abita, una sorta di divinità immanente che
lo governa: lo stesso animale dunque, nellimmaginario popolare,
non è solo preda e fonte di sostentamento, ma anche espressione
della presenza divina, ed è quindi sacro. [
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In una visione fortemente animista, la vegetazione, lanimale, il
cielo sono espressione della divinità. Successivamente, invece,
si fa largo una nuova idea nella mente del primitivo: lalbero, e
dunque la pianta, non incarna più una divinità, bensì
la sua dimora. Lo spirito arboreo, invece di essere considerato lanima
di ogni albero, diventa la divinità della foresta. E questo
il passaggio dallanimismo sciamanico alla religione politeista.
Se questa è la concezione popolare, ecco allora che lanimale
totemico, espressione della divinità, deve esser ucciso e sacrificato,
proprio come avviene nel mito, per poter poi assicurare la novella nascita.
Ma questo non è lunico messaggio del rituale: qualcosa di
ben più complesso si affaccia allorizzonte dellintimo
sentimento umano.
Il momento del raccolto, di qualunque pianta si tratti, è un momento
di crisi del regime esistenziale umano, un punto di criticità che
sconvolge luomo antico. Luomo si dispera per la scomparsa
della pianta, che è la sua stessa fonte di sostentamento. Un timore
non del tutto infondato, se pensiamo alle innumerevoli incognite da cui
dipende un raccolto, legato a eventi che luomo stesso non può
controllare: periodi di siccità, piogge o nevi copiose, gelate
fuori stagione, eccessiva calura, fino alla presenza di animali e insetti
scellerati che possono rovinare i campi. [
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[
] Lidea
dellanimale totemico, poco per volta, passa anche per gli animali
più piccoli che dimorano nei campi. Progressivamente scacciati
dal loro nascondiglio dalluomo stesso, questi si dovevano spostare
alla ricerca di un luogo dove acquietarsi fino a giungere al covone rituale:
ecco che traspare il germe della taranta. [
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[
] Così, quando si avvicina il momento della mietitura, il
contadino deve guardarsi bene dallesser toccato dallanimale
sacro, pena la sua malattia e di conseguenza labbandono dei campi,
cosa che provocherebbe tra laltro gravi difficoltà economiche
per la sua famiglia. [
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Andrea Romanazzi
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Questi brani sono
tratti dal libro di
ANDREA ROMANAZZI, Il ritorno del
dio che balla – culti e riti del tarantolismo in Italia -
VENEXIA, 2006
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